Rum: falsi miti

Per le persone della mia generazione, leva 1982, è dai tempi della moda del Rum-e-pera (inizio anni 2000) che il Rum in una qualche sua forma è entrato a fare parte del nostro dizionario-alcolico. Da allora, l’idea che mi ero erroneamente fatto sul Rum mi ha accompagnato per molto tempo e non è stato certo processo veloce cambiarla, far sì che essa evolvesse per scrollarsi di dosso tanti preconcetti - sbagliati - che in qualche modo avevo assorbito.

Qui nel seguito tre “miti urbani” molto diffusi legati al Rum che occorre fin dal primo momento sfatare ed abbandonare quanto prima:

N.1 “IL RUM E’ UN LIQUORE” - cit. svariati siti internet, amici, parenti, ecc ecc…

Falso: il Rum è un distillato e non un liquore!

Sorprendente come la parola “distillato” venga ignorata dalla maggior parte dei consumatori a favore della parola liquore. Mentre il liquore in estrema sintesi può dirsi una bevanda alcolica zuccherata ed aromatizzata; il distillato è una cosa ben più complessa, e certamente con minore quantità di ingredienti aggiunti, esso è infatti il risultato del processo di distillazione mediante il quale si estrae, con vari gradi di purezza (questa la evidenzio perché tornerò sotto su questo punto in un post dedicato alla distillazione), da una qualche materia fermentata l’alcool. Sempre semplificando, tra ciò che esce dall’alambicco e ciò che ci ritroviamo nel bicchiere vengono, di regola, aggiunti pochissimi ingredienti: il tempo, la botte che contiene il distillato e dell’acqua. Ci possono essere altre aggiunte, pur nel rispetto della tradizione, ma esse sono comunque di minore impatto rispetto alle tre cose, quattro contando il distillato stesso, che ho citato poc’anzi.
Purezza è una parola che ho voluto evidenziare perché se usualmente attribuiamo una connotazione positiva a questo sostantivo, ebbene laddove parliamo di distillati, un’eccessiva “purezza” fa si che il distillato risulti molto scarico di profumi e di poco corpo in bocca; estremizzando: se sono super efficiente a tirare fuori da un alambicco “alcol puro / neutro”, beh che io lo abbia distillato dalla canna da zucchero, dalle patate o dalla barbabietole, forse forse cambia proprio poco dato che sempre alcol esso rimane (e quindi ricordiamolo la molecola dell’alcol è inodore ed insapore; è quella frazione non alcolica che emerge insieme all’alcol che è responsabile del suo caratteristico aroma)…. ed allora se produco alcol “purissimo” perché sono “bravissimo” a distillare alla soglia massima di efficienza tecnologica, beh allora posso anche non farmi fantasie strane sul ricercare la migliore canna da zucchero della specie tale, proveniente dall’isola tale, raccolta con amore, o non ha molto senso cercare fermentazioni molto lunghe con lieviti particolari, e tante altre favole che abbondano sulle etichette di tanti Rum.

N.2 “IL RUM DEVE ESSERE DOLCE” e poi il falso mito può proseguire con “perché è fatto con la canna da zucchero…”

Falso! Il Rum è fatto con la canna da zucchero o suoi derivati, può avere un “carattere dolce” ma non è zuccherato!

Di questo falso mito discussi parecchio a lungo con un estimatore che aveva una collezione esagerata di ogni etichetta di “Ron latino” esistente, ma una cosa veramente epica, non so quanto avrà speso: probabilmente una fortuna. Secondo lui era del tutto normale che il Rum derivando dalla canna da zucchero contenesse appunto questa sostanza zucchero. Una logica all’apparenza semplice ma ragionevole, eppure nulla di più distante dalla realtà: lo zucchero è un cristallo, comunque una materia pesante, ed all’interno di un alambicco esso rimane saldamente sul fondo dell’alambicco stesso non rimane certo incollato al vapore dell’alcol mentre questo - con varie metodologie e tecnologie - viene separato dal fermentato in cui esso è originariamente contenuto quando è ancora liquido. La realtà è che se lo zucchero entra nel vostro bicchiere di Rum è perché qualcuno ce lo ha messo (quasi sempre senza dirvelo in etichetta); alcuni invecchiamenti possono favorire la comparsa di zucchero nel nostro amato Rum, ma anche con gli invecchiamenti più esotici in botti che in passato avevano contenuto per esempio vini dolci (cd. “finish”, pensiamo ad esempio ai “finish ex-porto” o “finish ex-sherry”), lo zucchero che rimane impregnato nella botte-usata e che da lì poi ritorna nel Rum sarebbe veramente poco (diciamo intorno ai 3-7 g/L, talvolta di più magari usando botti molto piccole con un rapporto superficie/volume quindi più elevato, non certo prossimo ai 20 g/L, talvolta 30 o anche 40 che ritroviamo in alcuni Rum “commerciali”).

N.3 “IL RUM QUANTO PIU’ E’ INVECCHIATO, QUANTO PIU’ E’ PREGIATO”

Se ne potrebbe parlare… ma qui il problema di base sta nel fatto che quando le etichette “danno i numeri” il consumatore non sempre è consapevole di ciò che sta effettivamente comprando.

Questa è difficile… c’è certamente un fondo di verità, nel senso che taluni Rum che vivono invecchiamenti importanti, ad un pubblico con preferenze in tal senso, assumono connotazioni aromatiche di assoluto pregio e diventano delle perle rare praticamente irriproducibili. Posto che non a tutti può piacere una “spremuta di legno” invecchiata ai Caraibi per 25 anni, è indubbio che l’esperienza sarà qualcosa di unico per chi saprà apprezzarla. Qui, il falso, se andiamo a vedere non è tanto nell’affermazione in sé quanto semmai in due corollari:

  • l’età dichiarata in etichetta è reale espressa in anni calendariali (FALSO, spesso, ma non sempre!). Se in etichetta c’è scritto “20 years old” (o magari più sibillinamente solo 20 o 23) non è detto - purtroppo - che quella sia l’età effettiva di ciò che stiamo comprando… può darsi che lo sia, oppure può darsi che sia solo ciò che il produttore vuole che pensiamo quando compriamo. Qui la faccenda si fa difficile da trattare in poche righe e sono già oltre lo spazio che mi ero prefissato di occupare, diciamo che dipende da tanti fattori. Per adesso basti ricordare che diciture quali “blend” e “Solera” vogliono dire che stiamo comprando una sorta di “mix” con varie età (un blend appunto) e forse ci stanno dichiarando per l’intera bottiglia l’età della frazione più vecchia del liquido che stiamo comprando.. come dire: una goccia vecchia 20 anni in un bicchiere di liquido vecchio 2 anni, tutto il bicchiere diventa 20 anni “Solera”… Questa è la tragedia a cui chi applica il metodo Solera con serietà deve assistere quotidianamente (e ricordiamolo che il metodo Solera tradizionale non è affatto banale o da ridurre a cialtronata come potrebbe sembrare che io stia facendo), ma purtroppo il 90% delle bottiglie in commercio con metodo Solera sono adattamenti di un metodo antico che viene modificato per soggiacere alle più importanti ragioni economiche e commerciali;

  • il Rum bianco / non-invecchiato è solo da cocktail (FALSO, falsissimo!!): il Rum bianco può esprime un’eleganza, una freschezza, un’intensità aromatica da paura. Se prodotto sapientemente il Rum bianco può raggiungere vette qualitative notevoli e, talvolta, richiedere a buon ragione prezzi di tutto rispetto; prezzi che comunque non raggiungeranno mai quelli del prodotto creato con altrettanta maestria ed in aggiunta invecchiato.

  • aggiungo il terzo corollario, che poi è quasi una declinazione di quello che ha appena preceduto, un Rum invecchiato poco sa di poco… beh, ormai se avrete avuto la pazienza di leggere fino a qui, dovreste aver capito che dipende da tante cose, e che anche prodotti giovani realizzati ad arte ed invecchiati, magari poco, ma bene nel clima giusto con la botte giusta, possono stupire anche il consumatore più esigente.

Penso che per il neofita sfatare in una fase precoce questi tre falsi miti appena discussi, ritengo possa già costituire un buon inizio per avviare un percorso di accrescimento e scoperta individuale.

Stay tuned!

Indietro
Indietro

Come classificare i Rum? parte 1 - il Colore

Avanti
Avanti

Nasce Blog di Solo Rum!